​Mancano 1597 voti, ecco perché non è scattato il premio di maggioranza a Giliberti. Il centrodestra insorge

Secondo la commissione elettorale presieduta dal Giudice Alcide Maritati, Mauro Giliberti non avrebbe ottenuto il 50% dei voti validi sommando primo e secondo turno. Ma il centrodestra non ci sta.

Mauro Giliberti, candidato sindaco del centrodestra, non ha ottenuto – secondo la commissione elettorale presieduta da Alcide Maritati – il 50% più uno dei voti validi tra primo turno e ballottaggio. Insomma, secondo il Giudice mancano al giornalista di Porta a Porta 1.597 preferenze che gli avrebbero fatto ottenere il premio di maggioranza, premio che invece è toccato a Carlo Salvemini che ora può contare sui numeri per governare la città. “Il bacino dei voti validi cui rapportare il risultato conseguito dalle liste o dai gruppi di liste collegati al primo turno ai vari candidati alla carica di Sindaco non risultati eletti – si legge – è di 93.053. Il 50% di tale cifra corrisponde a 46.526,5 voti per superare la quale (ed impedire l’attribuzione del premio di maggioranza) una lista o un gruppo di liste collegate al primo turno ad un candidato non eletto Sindaco avrebbe dovuto ottenere almeno 46.527 voti come cifra elettorale. Ciò non è avvenuto, avendo quelle maggiormente suffragate (ossia quelle collegate a Giliberti) conseguito la cifra elettorale complessiva di 26.715 che (anche se sommata al numero dei voti riportati dallo stesso candidato al turno di ballottaggio 26.725 + 18.215 = 44.930) non supera il 50% dei voti validi espressi nell’intero procedimento elettorale”.

Ma i consiglieri di centrodestra non sono assolutamente convinti di questa interpretazione e domattina si incontreranno in un noto albergo della città per concordare la linea da seguire e impostare l’ormai ovvio ricorso al Tar affidandosi ad un pool di avvocati tra cui Pietro Quinto e Francesco Baldassarre.

La lettura della Commissione elettorale ha tenuto conto del precedente di San Benedetto del Tronto, ma nel centrodestra leccese sono sicuri che questa ‘interpretazione’ sia stata forzata poiché non rispetta del decimo comma dell’Art. 73 del Testo Unico sugli enti locali secondo cui: «qualora un candidato alla carica di Sindaco sia proclamato eletto al secondo turno alla lista o gruppo di liste ad esso collegate viene assegnato il 60% dei seggi sempreché nessun altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50% dei voti validi».

Insomma, perché mortificare a detta dei consiglieri di centrodestra la libera scelta dei cittadini di poter utilizzare lo strumento del voto disgiunto andando ad una interpretazione della norma così estensiva che, di fatto, cancella quanto scelto dagli elettori nelle urne l’undici giugno scorso? Ma per maritati a prevalere è stato il principio della governabilità che ha prevalso su quello della rappresentatività.

Maritati, invece, si è soffermato a lungo sul concetto di voti validi e ha sposato la tesi che in essi debbano essere computati anche i voti riportati dai Sindaci al secondo turno e non solo quelli conseguiti dalle liste collegate al primo turno.

Sul tema nelle settimane scorse era intervenuto anche l’avvocato Pietro Quinto che, in un articolo su lexitalia.it aveva considerato errato questo punto di vista per almeno tre ragioni: in primis, perché l’articolo 73 al comma 10 è chiarissimo e in nessun caso parla di secondo turno, proprio perché l’incidenza dello strumento del voto disgiunto è rinvenibile solo nel primo turno (altrimenti che senso avrebbe dare quest’arma nelle mani dell’elettore?). Secondo, perché sommare i voti dei sindaci al primo turno con quelli del secondo – ai fini della definizione dei voti validi – è “praticamente e normativamente inattuabile, trattandosi di differenti segmenti procedimentali non cumulabili” (insomma, sarebbe come sommare pere e mele). Terzo perché il caso di San Benedetto del Tronto non è applicabile nel caso leccese che ricade nel comma dieci del Tuel.



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