Pizzini inviati dal carcere svelano i ‘segreti’ della Scu: tre imputati condannati a 35 anni di carcere

I tre imputati, tutti originari di San Pietro Vernotico, rispondono dell’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Le ‘sfoglie’, ritrovate nell’auto di Giuseppe Perrone il 24 maggio 2016, contenevano indicazioni sulle nuove affiliazioni all’interno della Scu.

Pizzini inviati dal carcere per la comunicazione tra affiliati, il cui ritrovamento ha permesso di disvelare la riorganizzazione della Sacra Corona Unita, nei territori a cavallo tra Brindisi e Lecce.
  
Il Gup Cinzia Vergine, al termine del giudizio abbreviato, ha condannato a 14 anni Raffaele Martena, 31enne, detto Raffy   il pm Alberto Santacatterina aveva chiesto la stessa  pena); 11 anni per Cristian Tarantino, 29 anni (richiesta di dieci anni e otto mesi); 10 anni e 8 mesi per  Giuseppe Perrone, 45enne, alias Barabba (invocati otto anni). I tre imputati, tutti originari di San Pietro Vernotico, rispondono dell'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Sono considerati esponenti di primo piano della "frangia tuturanese" della Scu.
  
I tre vennero arrestati l’11 luglio 2016. L’inchiesta, coordinata da procuratori Alberto Santacatterina e Carmen Ruggiero, è partita dal ritrovamento nell’auto di Perrone, avvenuto il 24 maggio 2016, di un biglietto scritto in stampatello. I successivi accertamenti individuarono in Martena l'estensore della “sfoglia”. Sarebbe stata scritta mentre questi era detenuto in carcere ed indirizzata a  Perrone.
Il ritrovamento fu quasi casuale, poiché i carabinieri del Comando provinciale stavano eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare a carico di Perrone con l'accusa di traffico di droga. Durante la perquisizione dell’auto in uso all’indagato, fu trovato un foglio riposto dentro la tasca di un piumino. Un'altra missiva venne scoperta dagli inquirenti all'interno del porta documenti.
  
La sfoglia conteneva indicazioni su "movimenti”, interpretati come nuove affiliazioni all'interno del sodalizio mafioso, con il coinvolgimento di persone di notevole spessore criminale, appartenenti ai territori sia di Brindisi che di Lecce. Infatti vengono "spesi" i nomi di due boss di primo piano della malavita leccese, quali Sergio Notaro detto "Panzetta" e Cristian Pepe. Non solo, emergono anche contrasti tra gli affiliati e minacce di faide interne con frasi del tipo "se c'è da ammazzare si ammazzerà". Inoltre, gli investigatori si sono avvalsi del riscontro delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di Giustizia leccesi, quali Gioele Greco e Alessandro Verardi.
  
Gli imputati sono assistiti dall'avvocato Ladislao Massari.



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