Lecce città degli invisibili, dei clochard che al tramonto vagano alla ricerca di un tetto

A Lecce non è raro incappare nei senza tetto. Li vedi circolare a piedi o su mezzi di fortuna a pochi passi dal centro storico come in periferia. Clochard spesso dimenticati da tutti che possono raccontare tante storie diverse.

Il dramma del clochard indiano che ha perso la vita tra stracci e cartoni nel suo giaciglio di fortuna nella centralissima Viale Otranto a Lecce apre una ferita che sembra non essersi mai chiusa, quella che tocca i tanti invisibili che popolano la nostra città.

Li trovi ovunque, a pochi passi dal centro storico di Lecce, nel salotto buono della città, come in periferia. Li vedi mentre camminano per strada con il loro carico di tristezza e disperazione o mentre si aggirano nei pressi della stazione. Eppure sono invisibili, soprattutto di notte quando cercano un rifugio di fortuna, quando sono “costretti” dalla vita a preferire le stelle ad un tetto sopra la testa. Sono i clochard, gli homeless, i senza tetto. E sono tanti, troppi.

Sono donne e uomini che hanno fatto della strada la loro casa, del marciapiede la loro dimora. Italiani e stranieri privi della loro identità, ma che un tempo avevano una famiglia, degli amici, una vita. Anziani e giovani che possono raccontare storie diverse, ma simili nella ‘disgrazia’. Come quelle, per esempio, della signora Marilena, una mendicante che aveva incrociato lo sguardo di una giovane turista in vacanza nel Salento.

C’è chi ha perso il lavoro e non è più riuscito ad alzare la china, chi non può permettersi di pagare l’affitto di un appartamento e trova riparo in un’auto, c’è chi proprio non ce l’ha fatta a pagare le tasse, le bollette e le spese quotidiane con il portafoglio sempre vuoto. Qualcuno dice di averlo fatto per scelta. Tutti, nessuno escluso, vivono di stenti, sono aggrappati alla generosità della gente. Con l’elemosina comprano da mangiare e da bere, quando gli angeli della strada non corrono in loro aiuto.

Ti passano accanto, ma spesso fingi di non vederli. Anzi fai fatica a vederli avvolti nei loro indumenti che nascondono anche il volto, forse per vergogna, ma mai perché hanno perso dignità. Ti accorgi di loro raramente, tranne se non succede qualcosa e allora ti indigni o in caso di emergenza e in quel caso ti rendi conto che non è vero che puoi fare nulla, che non è compito tuo. Quando a gennaio il freddo e talvolta la neve piegano il Salento si urla all’emergenza per le persone che vivono per strada. Ad aprile, poi, tutto passa e su di loro cala il silenzio e probabilmente l’indifferenza sarà il sentimento predominante fino alla prossima tragedia. Ma si dovrebbe imparare qualcosa dal passato, altrimenti si perde il senso della vita.

Il dramma della solitudine, così abbiamo intitolato il ricordo del senzatetto indiano. Sappiamo solo che aveva appena 34 anni, si chiamava Singh, Sony per gli amici, un uomo che aveva deciso di lasciare il Punjab, uno stato al confine con il Pakistan per l’Italia e che aveva lavorato in molti ristoranti salentini.



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