‘La migliore amica che amo’, storie di omosessualità a sud

Mentre nei centri urbani più grandi le associazioni LGBT svolgono un’impagabile opera di mediazione tra le famiglie dei ragazzi omosessuali e questi ultimi, nei piccoli paesi si viene ancora messi alla porta per il proprio orientamento sessuale.

Una ragazza che chiameremo Giulia ha 23 anni ed una compagna che chiameremo Sara. Giulia e Sara vivono in un piccolo paese del profondo Sud Salento e quando escono a fare una passeggiata non si tengono per mano e non si danno mai un bacio, eppure si amano parecchio. Giulia è una nostra lettrice ed ha voluto raccontarci il resoconto di una serie di offese, ricatti e pressioni psicologiche che hanno condannato la sua relazione alla clandestinità.
 
Quando si innamorò della sua fidanzata era poco più che una ragazzina ed i suoi genitori,  venendo a sapere della sua omosessualità, decisero di metterla davanti ad una scelta “o questa cosa non esce da queste mura o te ne vai da casa.”. Giulia non aveva molte scelte, era ancora completamente dipendente dai genitori e si ritrovò a dover mettere l’etichetta di “migliore amica” alla donna che amava e che ama tuttora. Ora Giulia è una donna e si è resa indipendente trovando  lavoro in un bar, convive con Sara ma non parla con i suoi genitori da quando ha fatto le valigie per andarsene da casa. Qualche tempo fa  Giulia ha pubblicato su Facebook una  foto che ritraeva lei e la sua compagna sul letto, intente a contendersi un peluche. Una foto normalissima, un momento di complicità.
I suoi genitori hanno deciso di punirla per aver reso pubblico quel breve istante di vita  e le hanno vietato di andare a trovare la nonna, ricoverata da qualche tempo in ospedale. Perché tanta spietata freddezza? Perché si vergognavano,  “con quella foto ora tutti hanno capito che sei gay e se tua nonna ti vede si sente peggio.”, così recita il messaggio arrivato a Giulia tre giorni prima che la nonna morisse.
 
Una storia che lascia tanto amaro in bocca, a maggior ragione se si pensa che pochi giorni fa  la legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, conosciuta ai più come Legge Cirinnà, ha compiuto l’anno di vita. Abbiamo ricevuto la storia di Giulia proprio a distanza di un anno dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale di quella  legge che sembrava aver segnato la linea di confine tra un’epoca fatta di tabù ed un’epoca che, attraverso la normalizzazione dell’omosessualità, fosse destinata a risolversi in una rivoluzione culturale fatta di diritti uguali per  tutti.
 
Mentre Stato e Chiesa si avviano verso un riconoscimento sempre più effettivo  dei diritti civili degli omosessuali accade purtroppo che, in un paesino del basso Salento, venga negato a Giulia il diritto di dare un’ultima carezza a sua nonna. Giulia non si è limitata a condividere con noi la sua tragica esperienza ma ci ha raccontato anche di tanti suoi amici costretti  dalle famiglie a dichiararsi convintamente eterosessuali a suon di “ o tradisci te stesso o tradisci la famiglia”. Racconti medievali di vite vissute a metà perché, mentre nei centri urbani più grandi ci sono sempre più associazioni che lottano per i diritti della comunità LGBT e che svolgono un’impagabile opera di mediazione tra le famiglie dei ragazzi omosessuali e questi ultimi, nei piccoli paesi queste associazioni sono rare e succede ancora di essere messi alla porta per il proprio orientamento sessuale. Ne abbiamo parlato con il Presidente di  Arcigay Salento “ La terra di Oz”, Roberto De Mitry.
 
Ciao Roberto, molti ragazzi non fanno  coming out perché temono che la famiglia possa non accettarli, cosa ti senti di dire loro?
Vorrei che tenessero bene a mente una circostanza: i nostri genitori ci amano. Certamente per alcune famiglie sarà più difficile accettare e comprendere la “diversità” del figlio ma le associazioni come la nostra servono proprio per rendere questo percorso più agevole.  Dobbiamo avere la pazienza di essere buoni maestri  ed i nostri genitori saranno -il più delle volte- ottimi discenti,  ne sono convinto. Indubbiamente ci sono anche casi in cui questo confronto è faticoso ma ne vale davvero la pena, esiste qualcosa di più dolce della liberta di essere stessi?
 
Purtroppo ci sono famiglie che, temendo la lente d’ingrandimento del giudizio popolare,decidono di allontanare il figlio dichiaratosi gay. C’è un messaggio che vuoi far arrivare a queste famiglie?

Fortunatamente sono davvero poche le famiglie che mettono ancora in pratica questi ostracismi ma a quelle che lo fanno chiedo l’immenso sforzo di cercare una spiegazione dove, spesso, si rifiutano di trovarla. Un ragazzo che sta cercando di capire se stesso prova delle sofferenze profondissime, rese ancor più dolorose da quella famiglia che si trasformi in antagonista. Non arroccatevi nelle vostre convinzioni e provate ad ascoltare i vostri ragazzi, non negate loro la libertà di scegliere, non fateli sentire in colpa per quello che sono perché sono così e non possono fare nulla per cambiare. Alla fine non resta che chiedere a questi genitori di scegliere tra un figlio felice ed un figlio infelice, sperando nel loro buon senso.
 
Se anche voi state vivendo una storia simile a quella di Giulia rivolgetevi alle associazioni come Arcigay Salento, troverete un valido sostegno e consigli sinceri.
 
Se anche voi, come i genitori di Giulia, non accettate l’omosessualità di vostro figlio meditate bene sulla scelta che state compiendo perché un giorno vi renderete conto che nessuna occhiata maliziosa della vicina di casa bigotta, nessun cliente perso, nessun conoscente che nega il saluto è più importante del figlio che state tradendo, ferendo ed allontanando.
 
Quando sentirete il peso della carezza che Giulia non ha potuto dare a sua nonna vi capaciterete del fatto che ci sono rimorsi che mangiano il cuore e non vi vergognerete più di vostra figlia ma di voi stessi.
 
A cura di Armenia Cotardo



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