​Totò Riina ha diritto ad una morte dignitosa. La vedova di Montinaro ‘A mio marito l’ha negata’

Secondo la Cassazione un detenuto anziano e malato in procinto di lasciare questa terra ha il diritto di morire dignitosamente. Anche se si chiama Totò Riina, il Capo di Cosa Nostra che ha sulla coscienza una serie interminabile di crimini.

Totò Riina, il Capo dei Capi che ha sulla coscienza la morte di un numero imprecisato di persone, lo spietato boss che ordinò il massacro di Falcone e Borsellino, di Chinnici e del bambino sciolto nell’acido «ha diritto a morire dignitosamente», come qualunque altro detenuto secondo la Corte di Cassazione che, con un provvedimento certamente impopolare, ha accolto il ricorso della difesa del sanguinario boss che, da anni, si batte per ottenere il differimento della pena o gli arresti domiciliari per gravi motivi di salute. Un diritto da ‘rispettare’ per gli ermellini anche se con il suo nome sono state scritte molte pagine della storia criminale italiana, ma che era stato negato a Bernardo Provenzano, trattenuto fino alla morte al 41 bis. E questo nonostante fosse ridotto ormai a uno stato vegetativo. 
  
Il capo di Cosa Nostra sta scontando 17 ergastoli, ma ormai ottantaseienne e provato da una serie di malattie gravi, meriterebbe quel briciolo di umanità che ha sempre negato agli altri. Inutile dire che non basta un quadro clinico disastroso a convincere le famiglie delle vittime a non urlare alla ‘vergona’. Perché si dovrebbe avere pietà? Perché non è stata gettata via la chiave di quella cella dove era stato rinchiuso dopo la cattura dell’uomo simbolo della stagione stragista, un arresto che dimostrava come Falcone, Borsellino e tanti altri non erano morti né soli né invano. Il coro è unanime: nessuna delle persone che hanno perso la vita negli omicidi, nelle stragi e nelle bombe, nelle lupare bianche e nella serie interminabile di azioni criminali ha avuto una ‘morte dignitosa’. E la loro memoria non può essere offesa. Ma secondo l'avvocato Luca Cianferoni, legale di Totò Riina, in collegamento con La7 «Le vittime non le riporta in vita nessuna galera». 
  
Non concede sconti neppure Tina Montinaro, la vedova di Antonio, caposcorta del giudice Giovanni Falcone che ha perso la vita nella strage di Capaci del 23 maggio 1992.  
  
«Non penso che Riina abbia mai pensato ad assicurare una morte dignitosa a mio marito, a Giovanni Falcone e a tutte le altre vittime che ha fatto saltare in aria – ha dichiarato in un’intervista a ‘La Repubblica’ – Non posso dimenticare quello che è accaduto nel 1992. Nessuno dovrebbe dimenticare».
  
Alla domanda se esiste un modo per conciliare la memoria con quella che la Cassazione chiama la "dignità dell'esistenza che anche in carcere dev'essere assicurata" risponde secca «Credo che Riina riceva tutta l'assistenza necessaria in carcere. Guardi, io sono cattolica. Non cerco vendetta. Io voglio la verità, quella che Riina ancora custodisce. Da 25 anni cerco la verità, altrimenti perché avremmo fatto tanti processi?».



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